venerdì 25 dicembre 2009

testabianca

Colpo d'ala scardina le labbra, colpo d'ala e nella gola m'esplode la saliva, m'arriva alle orecchie. A friggermi le guance lo sfogo dei capillari. Ora tende le ali a lama, alto nel cielo di sabbia, ed io, io serro i pugni finché i palmi non cedono alla spinta delle unghie; è un ghigno di crampi il suo planare, di sforzi e smorfie e piume sporche in stagno muscolare. Fuggire, devo correre, calciarmi via di qui, svelto, ma le gambe sono pietra sono fatto di pietra e ormai è a picco su di me il suo sguardo affilato. Precipita di schianto, s'allarga a macchia d'olio la sua ombra al suolo. Io brillo di sudore, il battito sfrenato mi sfonda la bocca dello stomaco e no, non credo di avere argini abbastanza robusti per fermare la piena delle vene. Il dolore non esiste non esiste il male ma il panico m'imperla il collo, mi scorre in rivoli dai palmi per i polsi ed eccolo, colpo d'ala, è a un palmo da me, il becco spalancato, arriva. Incollo le palpebre, alla fine mi sfiora la testa mi straccia il respiro non mi è addosso mi giro. E' in terra, saldo con gli artigli. Davanti, qualcosa. Carne livida tutta un sussulto di piaghe bluastre e rossoscuro. Un torsolo d'uomo, le caviglie scorticate, e brividi a increspare la pelle fosca, fina fina su polpacci e cosce turgide. Le ossa del bacino vette brulle sul ventre cavo. I vuoti e i pieni del costato virano in avambracci spolpati, polsi imbrattati, e dita inzaccherate di terra. Testabianca spalanca il becco, il corpo steso della preda rattrappisce per sottrarsi, d'istinto mi sfrego la lingua sui denti e gli occhi mi si fanno lucidi di fame. Sfavillante fame. Voltarmi, svoltare, non voglio guardare, è che lo stomaco m'incalza, mi strattona, mi spintona in avanti. Colpo d'ala, Testabianca s'avventa su quegl'avanzi d'uomo in terra e io mi trovo madido e tremante a mordere feroce il cuscino sudato. Che sogno di merda, penso e ficco fronte e naso nell'incavo del gomito sinistro. Bofonchio una bestemmia impastata e scatto a pancia in sù. Son sempre stato convinto che chiunque soffra d'insonnia nel tempo s' inventi dei modi suoi per gestirla. Delle scatole interiori in cui infilare tutto quel rovistare tachicardico d'occhi nel buio, una convenzione personale per quantificare quel rigirarsi interminabile in ore di lana infeltrita. Buon per loro, io son ben lungi dal riuscirci. Me ne sto a mollo coi tictic delle lancette e il bieco luccichio delle spie luminose della radiosveglia e del vecchio stereo. A farmi scartavetrare dal nulla fino a sentirmi notte su notte.