mercoledì 26 maggio 2010

waiting for my man. per prefabbrica, IV forse numero di Idioteca.

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi, e le cicche sul lavandino; la luce scrostata delle sei del mattino sui panni mezz'ammuffiti ammucchiati nel secchio, lo spazzolino da denti fra le cicche e Laura allo specchio. Le braccia tese sotto l'acqua corrente, s'insaponava le mani, svelta, due macigni d'occhiaie a pesarle sugli zigomi; città intera sui tacchi s'era fatta, di corsa, a rovinarsi le caviglie. Un'idiota, restare a ballare fino a quell'ora, col turno al bar a colazione alle 7 a.m., ma Francesco, al meraviglioso Francesco non si poteva resistere; si guardava allo specchio e aveva fisso Francesco, sorriso splendido, coi riccetti da borgata, d'altri tempi, davvero d'altri tempi quel moretto col camicino radical che qualche giorno prima, al bancone, le aveva infilato un foglino col numero di cellulare sotto la tazzina di caffè che lei gl'aveva servito. Bustina di zucchero intatta, dieci punti: le era piaciuto subito, e via a non capirci più nulla e farsi salire le voglie come allergia in quel maggio maledetto, col caldo tardoprimaverile, euforico, che spesso e volentieri la soffiava leggera nell'aria come polline poi le faceva andare di traverso i soli, le lune e le galassie pure, e la sbatteva a terra in down da endorfine, smusata, senza forze.
Ma quella sera Laura biondissima era fantastica, e c'aveva messo un'infinità a vestirsitruccasi, a edificarsi, prodursi, confezionarsi con la minuzia di una catena di montaggio, hey shuga, take a walk on the wild side, dovevate vederla, uno schianto, altrochè, e aveva ballato davanti allo specchio, e aveva pensato che la gonna nuova le faceva un bel culo davvero, e aveva bevuto limoncello a collo dalla bottiglia mezzo scolata dell'altra notte, quella notte da disperarsi che era arrivato Giulio, il post-bohemièn malandato from the hills dell'entroterra, che ci aveva messo delle ore a baciarla e bimbo sei carino, ho capito che vuoi andare a vivere a Londra ma io c'ho poca pazienza, il tuo accento è agghiacciante e insomma doo do doo do doo do do doo cantava, ballava, si venerava estasiata allo specchio impolverato e che intimo ragazzi, faceva una sorsata e pensava a Giulio, che poi andarci a letto non era stato così terribile, un'altra sorsata e pensava a Francesco, bellissimo, che chissà se avrebbe rimesso il camicino radical bianco, quella sera, e alla fine se n'era uscita di casa a bottiglia finita già traballante sui tacchi, she said hey babe, sbraitava al buio chiaro e aromatico di maggio, take a walk on the wild side...
E si faceva giorno sugli asciugamani e sul posacenere rovesciato, sui trucchi, sui capei d'oro e sul viso di laura, sfinito, floscio come una ragnatela; laura trasognata ancora, che si sciacquava le mani, chiudeva il rubinetto e prendeva a struccarsi. S'annusava e si gustava Francesco, se lo sentiva ancora sul collo, sul collo e sul culo, altro che radical, altro che romantico Francesco irresistibile, e chissà a che punto della serata era stato che Pierpaolo le aveva passato una mano fra i capelli e lei si era girata, scordandosi di Francesco, e a Pierpaolo si sa, non si resiste, e neanche al suo bel vizio di riempirla di drink e complimenti; idiota che era, tornata a casa a quell'ora, manco mezz'oretta avrebbe potuto chiudere occhio, e con le caviglie dissestate poi, tacchi maledetti, sei ore filate al bancone sarebbero state un inferno, o me 'mmazzo o me sparo, pensava, come diceva suo nonno. Pensava anche, ghignando, che ai masters del bar davvero non sapeva più come spiegare per quale motivo alla volte zoppicasse, e giù a inventarsi tendiniti, vecchie fratture, e stavolta, già, stavolta sarebbe stata colpa delle scarpe da tennis nuove; e pensava anche, togliendosi la canottierina nera, che era ora, ora scossa di una aggiustatina ai peli sul petto, ma doveva spicciarsi, perciò svelta col rasoio si ripassava il mento, e le guance. La luce era ormai nitida sulla parrucca bionda gettata nel lavandino e Laura sbattutasi la porta alle spalle incespicava per le scale e rincorreva zoppicando il bus delle seiecinquanta del mattino.